Nel numero del 24 settembre 2009 di Panorama, Laura Maragnani firma un articolo dal titolo “Riscuoti i soldi e scappa”, relativo al ‘colosso’ delle riscossioni Tributi Italia Spa, avente sede amministrativa a Caperana, in via Parma, 356.
Dall’articolo emerge che Tributi Italia lavora per oltre 500 comuni. Con decine di questi ha costituito le cosiddette ‘società miste’ (pubblico-private), attraverso le quali riscuote anche ICI e TARSU, imposta e tassa che costituiscono le maggiori entrate degli enti per fronteggiare la spesa corrente.
Centinaia di questi comuni hanno segnalato al ministero il mancato versamento delle somme riscosse dalla Tributi Italia. Parliamo di oltre 150 MILIONI di Euro. Sull’articolo sono elencati alcuni di questi comuni, quelli ai quali tributi italia deve versare le cifre più consistenti (Bologna, Nettuno, Aprilia, Pomezia), ma tra i comuni creditori ce ne sono molti anche del Tigullio: Chiavari (da delibera di giunta 232.000 euro), Cogorno (secondo l’assessore al bilancio in consiglio comunale: circa 40.000 euro), Rapallo, Neirone…
L’articolo di panorama cita Osvaldo Napoli, del Pdl, vicepresidente dell’Anci, l’associazione comuni italiani: un “potenziale disastro, decine di sindaci rischiano di dover dichiarare il dissesto. L’Anci ha già chiesto al ministero, per ben due volte, di cancellare la Tributi Italia dall’albo. Nessuna risposta.” Anche la deputata radicale Rita Bernardini e il senatore pd Vincenzo Vita, a luglio, hanno chiesto la cancellazione della Tributi Italia dall’albo.
Il lettore penserà che una società che riscuote imposte e tributi (e oltretutto non li riversa ai comuni) non abbia certo problemi di liquidità… Invece no, il 24 luglio i suoi dipendenti hanno scioperato denunciando il mancato versamento delle loro competenze (la società ha appena liquidato ai dipendenti le spettanze di Luglio e deve ancora versare Agosto e Settembre). “Per questa ragione la dirigenza ha bussato alle porte di Tremonti. E pretenderebbe l’attivazione delle procedure previste nel decreto anti crisi, il cosiddetto “affiancamento”. In soldoni circa 70 milioni di euro garantiti dalla Sace alle banche che sono state investite dalla richiesta di finanziamento: nella fattispecie Montepaschi, Unicredit, Bnl, Banca popolare di Milano e Banco di San Giorgio. Trattasi delle procedure previste dall’articolo 9 commi 3 e 3 bis del decreto legge 185.” (http://agostinogaeta.wordpress.com/2009/09/25/tributi-italia-il-20-ottobre-in-tribunale/)
Siamo all’assurdo: la tributi Italia incasserebbe così 3 volte i soldi degli italiani:
gli aggi sugli incassi ‘riversati’ ai comuni (spesso giudicati troppo elevati dalle giunte che subentrano nelle amministrazioni di enti che hanno siglato contratti con il concessionario)
i soldi mai versati ai comuni
l’eventuale cifra che la Sace verserebbe alle banche creditrici in caso (piuttosto probabile) di inadempienza della società.
A questa assurdità si affianca la disperazione in cui si trovano centinaia di famiglie (almeno una cinquantina del Tigullio) a causa del disagio economico che stanno subendo, ma soprattutto all’incertezza sul loro futuro.
Tributi Italia crediamo essere uno spaccato dell’attuale sistema non solo italiano, ma mondiale:
si privatizzano i servizi adducendo come pretesto l’inefficenza della gestione pubblica. Queste privatizzazioni avvengono con la compiacenza di politici e alti dirigenti delle pubbliche amministrazioni che possono ‘piazzare’ in queste società, senza il ‘fastidio’ di concorsi pubblici, i loro parenti e amici con spettanze fuori da ogni controllo, mentre i lavoratori ai bassi livelli sono trattati con il rigore tipico dell’azienda privata.
Come se non bastasse queste aziende poi, per incapacità (nella migliore delle ipotesi) o per cupidigia dei suoi dirigenti e dei politici con i quali interagiscono, finiscono col creare situazioni che fanno rimpiangere gli originali servizi pubblici.
Sono tante le domande che nascono guardando a questa drammatica vicenda:
come può una società simile, in continuo contatto con enti pubblici, banche, ministeri, arrivare ad una situazione di esposizione tale senza che nessuno si allarmi per tempo?
com’è possibile che i suoi bilanci siano stati approvati in questi 10 anni?
ci si rende conto dei rischi ai quali si espongono centinaia di migliaia di lavoratori (e relative famiglie) depenalizzando il falso in bilancio, approvando continui condoni in relazione a reati economico-finanziari?
é giusto che questi ‘imprenditori’, che di loro rischiano sempre meno e che rischiano sempre più sulla pelle dei lavoratori e dei contribuenti, abbiano la possibilità di fare quello che vogliono, che i lavoratori abbiano quale unica prerogativa quella di attivarsi quando ormai la società non riesce più a pagarli e spesso è oramai troppo tardi?
Italo Calvino, ne “Le città invisibili”, scriveva:
“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abbiamo tutti i giorni, che formiano stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce fatale a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione ed apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio”